Fast Fashion: cos’è e perché è un problema per l’ambiente e il lavoro

Fast Fashion: cos’è e perché è un problema per l’ambiente e il lavoro

Cos’è il fast fashion e come l’industria tessile dei capi di abbigliamento a basso costo impatta negativamente sull’ambiente.

Il termine fast fashion potrebbe non essere così familiare a tutti. Dopotutto, molti di noi non hanno mai pensato due volte prima di fare acquisti nei negozi di abbigliamento più famosi, poiché sono convenienti e accessibili per il portafoglio. Gli articoli più trendy sono a portata di mano. Sapete quanto l’industria tessile “veloce” può essere dannosa per l’ambiente ma anche per il mondo del lavoro?

Cos’è il Fast fashion

Il termine fast fashion – o moda veloce – si riferisce alla produzione in serie di abbigliamento alla moda, a basso costo e – generalmente – di scarsa qualità. Grandi nomi nel settore del fast fashion sono Primark, Shein, H&M e Boohoo, ma ce ne sono molti. La lista è davvero lunga.

Fast fashion

Oggi il fast fashion ha una connotazione dicotomica. Alcuni lo vedono positivamente, nel senso che può essere conveniente e accessibile per le minoranze o per le comunità a basso reddito, alle quali offrirebbe uno sbocco creativo, in modo che possano esprimere la propria personalità, avendo accesso ad articoli alla moda, ma non esosi. Semprer più persone, però, sembrano vedere il lato oscuro del fast fashion: tanti, infatti, lo boicottano.

Come funziona la moda veloce: basso costo della manodopera manifatturiera

Ogni anno vengono prodotti ben 100 miliardi di capi di abbigliamento. L’attenzione del fast fashion è sulla convenienza, l’accessibilità e la convenienza. Pertanto, i costi sono ridotti, ove possibile.

A tal scopo, si attua l’esternalizzazione della produzione in paesi in cui il costo del lavoro e della manodopera risulta essere più basso. Bangladesh, Cina, India e Vietnam sono alcuni dei Paesi di riferimento del fast fashion per la manodopera manifatturiera.

I marchi low cost, dunque, prendono ispirazione dalle tendenze provenienti dalle passerelle e dalle celebrità. Il loro obiettivo è produrre rapidamente grandi volumi di capi per sfruttare le tendenze prima che diventino obsolete.

La storia e la cronologia della moda veloce

Prima della rivoluzione industriale e dell’invenzione della macchina da cucire, la moda era lenta. La gente cuciva da sé i propri vestiti e li rammendava quando necessario. I vestiti erano spesso su misura e progettati per durare tutta la vita vita.

Poi, col tempo, gli indumenti sono diventati espressione di stile e così ha iniziato a farsi strada la moda intesa come espressione della propria personalità e non legata più solamente alla praticità della vita quotidiana.

Il concetto di fast fashion è iniziato con la produzione di massa di abbigliamento di qualità a buon mercato. Il termine fu coniato ufficialmente, negli anni ’90, dal New York Times, ispirandosi al nuovo modello di produzione accelerata di Zara, ispirata alla settimana della moda ed accessibile a tutti.

Una sfilata di moda alla Fashion Week

Qual è il vero problema alla base di tale sistema?

Il fast fashion può sembrare innocente a un livello superficiale, ma ci sono molti costi nascosti. La maggior parte degli acquirenti è consapevole del fatto che l’industria è dannosa per diversi aspetti, anche se c’è molto ancora da fare per rendere le persone maggiormente consapevoli.

  • Sfruttamento dei lavoratori: i lavoratori dell’abbigliamento spesso svolgono le proprie mansioni in condizioni non sicure, con salari estremamente bassi che non sono neanche lontanamente vicini a un salario dignitoso, con l’assenza di diritti umani fondamentali. Ciò avviene, in quanto l’obiettivo è ridurre i costi, quindi i marchi approfittano dell’outsourcing in paesi in cui la protezione dei diritti dei lavoratori è praticamente inesistente;
  • Inquina il pianeta: produrre quantità eccessive di abbigliamento a prezzi incredibilmente bassi diffonde una cultura usa e getta, poiché l’abbigliamento non è pensato per durare a lungo a causa della scelta di materiali economici che, nei fatti, non durano. La quantità di indumenti buttati via è raddoppiata negli ultimi 20 anni, con una media di appena 7 indumenti per capo di abbigliamento;
  • Pressione psicologica: un rilascio costante di nuovi stili promuove una mentalità di consumo eccessivo, facendo credere alle persone di aver bisogno di sempre più cose per sentirsi a proprio agio;
  • Greenwashing: come se ciò non bastasse, i brand spesso fanno di tutto per nascondere la loro catena di approvvigionamento e i processi di produzione e cercano di esprimere un’immagine sostenibile o addirittura etica;
  • Premia gli ultra-ricchi: nonostante i marchi siano complici dei fornitori di fabbrica che non pagano ai loro lavoratori un salario dignitoso, l’industria del fast fashion impiega alcune delle persone più ricche del mondo, molte delle quali multimiliardarie.

Bangladesh, Cina, India e Vietnam sono alcuni dei paesi di riferimento del fast fashion per la manodopera manifatturiera.