Sperma coltivato in laboratorio per aiutare gli uomini con problemi di infertilità: un passo avanti della scienza. La ricerca di un gruppo di studiosi.
Un’équipe dell’Università di Limerick sviluppa spermatozoi da tessuti bio-ingegnerizzati: la tecnica potrebbe cambiare radicalmente la procreazione assistita nei prossimi dieci anni.
Una nuova speranza: spermatozoi coltivati in vitro
Ogni anno milioni di coppie scoprono di non poter concepire e, in quasi la metà dei casi, la causa è attribuibile all’infertilità maschile.
Un fenomeno che continua a crescere e che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità colpisce il 17,5% della popolazione adulta mondiale. In Italia, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità indicano che il 15% delle coppie è infertile.
A preoccupare sono anche i numeri sulla qualità del seme maschile: dagli anni Settanta ad oggi, infatti, la concentrazione spermatica è dimezzata, calo che si è accentuato negli ultimi due decenni e che è ricondotto a stili di vita poco salutari, inquinamento ambientale e patologie, comprese le conseguenze per il corpo in fase post-Covid.

I primi esperimenti di spermatogenesi in vitro condotti su modelli animali hanno dimostrato che è possibile imitare il processo in un ambiente artificiale.
Per riuscirci, è necessario ricreare le complesse condizioni del tessuto testicolare umano, microambiente biologicamente e meccanicamente sofisticato, che supporta la trasformazione delle cellule staminali negli spermatozoi maturi. Le cellule di supporto, come quelle di Sertoli e di Leydig, e una matrice 3D hanno un ruolo molto importante in tale fase.
All’Università di Limerick, in Irlanda, il team guidato da Eoghan Cunnane sta lavorando allo sviluppo di strutture tridimensionali capaci di ospitare cellule testicolari coltivate a partire da dati ricavati da pazienti con azoospermia non ostruttiva.
Secondo quanto riportato dallo stesso scienziato su The Conversation, l’obiettivo è quello di generare spermatozoi funzionali da utilizzare nelle tecniche di fecondazione assistita, come l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo. I primi test su tessuti umani ex-vivo potrebbero iniziare entro due o tre anni.
Problemi di natura clinica ed etica
Le attuali tecniche di procreazione medicalmente assistita utilizzano prelievi chirurgici o si avvalgono di donatori. In molti casi, però, questi approcci hanno un successo limitato e comportano un forte impatto fisico ed emotivo, soprattutto per la partner femminile.
La possibilità di generare spermatozoi autologhi rappresenterebbe – dunque – una svolta per pazienti con insufficienza testicolare primaria o per chi ha subito trattamenti oncologici in età prepubere.
La strada da percorrere è ancora lunga, in quanto sarà necessario garantire la qualità genetica dei gameti, dimostrarne l’efficacia riproduttiva, nonché affrontare nodi normativi ed etici, dalla tracciabilità dei campioni al consenso informato, fino all’uso della tecnologia in contesti non strettamente terapeutici.
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ultimo aggiornamento: 17 Giugno 2025 17:34