Boom di trasferimenti di italiani verso questo paese: qualità della vita alta, niente stress, e lavoro pagato con rispetto.
Nel giro di dodici anni, il numero di italiani residenti in Islanda è quadruplicato. A raccontare questo cambiamento non è un’agenzia di viaggi, ma Roberto Luigi Pagani, linguista e ricercatore italiano che dal 2014 vive a Reykjavík, dove insegna islandese medievale. Secondo i dati ufficiali elaborati dallo stesso Pagani, nel 1998 gli italiani sull’isola erano appena 66. Oggi, nel 2024, sono diventati 770. Un aumento costante che non ha soltanto motivazioni economiche, ma tocca corde più profonde come la ricerca di serenità, di aria pulita, di una cultura del lavoro più equa.
“Qui non esistono straordinari non pagati”, dice Pagani a Fanpage.it, spiegando che ciò che lo ha trattenuto sull’isola non è stato solo l’amore per la letteratura medievale nordica, ma una qualità della vita completamente diversa da quella che conosceva in Pianura Padana. “Da quando vivo in Islanda, non ho più allergie”, afferma. La frase, seppur semplice, riassume un insieme di sensazioni che coinvolgono ambiente, salute, ritmo e benessere.
Aria pulita, ritmi lenti e clima mite: perché l’Islanda attrae sempre più italiani
Chi ha vissuto in città come Cremona, con le sue nebbie e l’umidità tipica della Pianura Padana, riconosce subito la differenza: l’aria in Islanda è un’altra cosa. Lo racconta Roberto Pagani, che ha lasciato l’Italia nel 2014 per inseguire la passione per la letteratura nordica. Non pensava però di rimanere così a lungo. È stato il contesto, più che l’ambito accademico, a convincerlo: “Qui si vive meglio”, spiega. Nessun trauma stagionale, temperature stabili tutto l’anno e assenza quasi totale di allergeni hanno fatto la differenza.

Contrariamente a quanto si immagina, il clima islandese non è estremo. La vicinanza all’oceano mitiga le escursioni termiche, e l’inverno raramente scende sotto lo zero, mentre l’estate è fresca ma stabile. Un vantaggio che pochi conoscono. E il contesto naturalistico? Unico. Geyser, vulcani attivi, scogliere verticali e pulcinelle di mare fanno da sfondo a una quotidianità che, per molti italiani, sa di pace. “Anche a Reykjavík sembra di stare in campagna”, dice Pagani. Il senso del tempo cambia, le distanze si accorciano, la frenesia svanisce.
Il boom migratorio verso l’Islanda, come spiega il ricercatore, ha avuto fasi alterne. Un primo picco prima del 2008, legato al forte potere d’acquisto della corona islandese, e poi una flessione post-crisi economica. Oggi l’interesse è tornato, ma con motivazioni diverse: “I soldi contano poco. È la qualità della vita a fare la differenza”.
E chi teme la distanza emotiva o culturale, spesso scopre una società accogliente, semplice, diretta. I rapporti sono informali, anche sul lavoro, e non c’è bisogno di ‘dare del lei’ per essere rispettati. Una piccola rivoluzione per chi arriva da ambienti lavorativi gerarchici e rigidi.
Niente straordinari non pagati e una cultura del lavoro meno tossica
Non è una favola scandinava, ma una realtà fatta di equilibrio e rispetto. Pagani lo dice con chiarezza: “Qui c’è una cultura del lavoro meno tossica”. In Islanda, nessuno si aspetta che il dipendente resti oltre l’orario, e se capita, viene pagato tutto. Il concetto di “sacrificio per l’azienda”, così radicato in Italia, qui non trova spazio. La giornata lavorativa dura in media otto ore, i turni sono regolari, e la settimana da quattro giorni — spesso raccontata in Italia — non esiste davvero. Ma la differenza è altrove.
C’è una forte attenzione alla vita personale, e il confine tra lavoro e tempo libero è rispettato con rigore. Non si tratta solo di orari, ma di mentalità. Il lavoratore non è definito dalla sua produttività. Il sistema funziona perché è costruito su una base di fiducia, autonomia e informalità. Dirigenti e impiegati si parlano senza barriere, e il senso di gerarchia è molto più morbido rispetto a quello italiano.
Anche chi arriva per pochi mesi, magari con contratti stagionali, sperimenta un modello completamente diverso. E spesso, una volta rientrato in Italia, si accorge che qualcosa è cambiato: “Provate, ma senza pregiudizi”, consiglia Pagani. “Adattatevi, accettate l’isola per com’è. Solo così può insegnarvi qualcosa”.
Non tutto, ovviamente, è perfetto. Lo stesso Pagani ha vissuto un paradosso assurdo: pur insegnando all’università, pochi mesi fa gli è stata negata la cittadinanza islandese per presunte carenze linguistiche. Un cortocircuito burocratico che mostra come anche nei modelli migliori esistano storture. Ma sono l’eccezione, non la regola.
Il consiglio finale è semplice: non aspettate che qualcosa vi spinga a partire. Se potete, fatelo per curiosità, per respiro, per scoperta. In un’epoca dove tutto corre e le giornate sembrano non bastare mai, l’Islanda è una pausa che insegna a ricominciare.