L’Osservatorio della School of Management rivela in uno studio che due giorni a settimana di lavoro da remoto evitano l’emissione di 480 chilogrammi di Co2 all’anno.

Dopo i picchi della pandemia e la riduzione dell’ultimo biennio, nel corso del 2023 i lavoratori in smart working in Italia sono tornati a superare i 3 milioni. Non solo: nel 2024 si prevede che arriveranno a quota 3,65 milioni, almeno stando alle proiezioni dell’Osservatorio smart working della School of Management del Politecnico di Milano. Un incremento che farà più che bene all’ambiente.

Smart working e ambiente: i benefici

Come evidenza lo studio dell’Osservatorio, presentato durante il convegno Rimettere a fuoco lo smart working: necessità, convenzione o scelta consapevole, il lavoro da remoto favorisce la sostenibilità ambientale. Due giorni a settimana di lavoro a distanza evitano l’emissione di 480 chilogrammi di Co2 all’anno a persona grazie alla diminuzione degli spostamenti e al minor uso degli uffici.

In generale, l’Osservatorio del Politecnico di Milano conteggia 3,585 milioni di lavoratori in smart working nel 2023. Le modalità di lavoro agile sono cresciute in particolare nelle grandi imprese (1,88 milioni di persone: praticamente un lavoratore su due) e nelle Pmi con 570mila lavoratori, il 10% della platea potenziale. Calano invece nelle microimprese (620mila lavoratori, il 9% del totale) e nelle Pubbliche amministrazioni (515mila addetti, il 16%).

Smart working
I benefici dello smart working non sono solo ambientali

I benefici dello smart working sull’ambiente sono già stati certificati da uno studio portato avanti dall’Enea a Bologna, Roma, Torino e Trento nell’arco di tre anni. L’indagine ha stabilito che due giorni di lavoro a casa a settimana, per un totale di 100 giorni all’anno, permettono di evitare l’emissione di 600 chilogrammi di anidride carbonica in 12 mesi.

I risparmi favoriti dal telelavoro sono di tempo (150 ore), chilometri di distanza percorsa (pari a 3.500) e litri di gasolio e benzina, tra 237 e 260. Ci sono pure altri benefici ambientali che riguardano la riduzione di ossidi di azoto a persona al giorno (dai 7,9 grammi di Torino ai 14,8 di Trento), monossido di carbonio (dai 18,7 grammi di Trento ai 38,9 di Roma), PM10 e PM2,5.

Lo smart working incide anche sull’immobiliare

Ma lo smart working produce notevoli conseguenza pure sul mercato immobiliare e sulle città. La ricerca del Policlinico evidenzia che il 14% di chi lavora da remoto ha cambiato casa o ha deciso di farlo, scegliendo nella maggior parte dei casi zone periferiche o piccole città alla ricerca di un diverso stile di vita. A beneficiarne sono diverse aree dell’Italia, fuori dai grandi centri urbani.

Restano però numerose barriere a una sua applicazione matura – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio smart working –. Troppo spesso lo smart working è considerato semplice lavoro da remoto o strumento di welfare e tutela dei lavoratori. È quindi necessario ‘rimettere a fuoco’ lo smart working, identificandolo per quello che è realmente: non un compromesso o un male necessario, nemmeno un diritto acquisto o un fine in sé, ma uno strumento di innovazione per ridisegnare la relazione tra lavoratori e organizzazione”.

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ultimo aggiornamento: 14-11-2023


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