Quali sono le start up femminili italiane (e green) più virtuose? Scopriamo chi sono le donne che hanno deciso di investire nel bel Paese.
Sul totale delle start up innovative, soltanto il 13% vede esclusivamente donne alla guida. Un dato che sale – precisamente al 42% – se analizziamo le imprese che hanno almeno una donna al vertice. Questo non significa che le persone di sesso femminile non hanno coraggio di puntare sul loro potenziale, ma semplicemente che cercano di osare solo in ciò che vale davvero. Vediamo quali sono le start up femminili italiane più virtuose.
Start up femminili italiane: quali sono le più virtuose?
Le start up italiane tutte al femminile, soprattutto quando si parla del campo dell’innovazione, scarseggiano. A detta di Tiziana Pompei, vice segretaria generale di Unioncamere, è una “questione generazionale“, destinata a cambiare. Rispetto al passato, infatti, dove le donne puntavano a settori dove erano già presenti, adesso scelgono anche percorsi più gratificanti, che fanno emergere le loro competenze.
Dello stesso parere è il professor Michele Costabile, membro di LA4G- Luiss Alumni for Growth, che investe su iniziative di ex studenti Luiss: “Le donne sono ancora poche perché le start up hanno quasi sempre un’anima tecnologica e le studentesse nelle facoltà STEM (Science, Technology, Engineering and Mathematics) ancora scarseggiano. Ma quando si apre un varco, la presenza femminile sale. Pensiamo all’astrofisica: in Italia c’è un’alta percentuale di donne, perché ci sono state delle antesignane che hanno fatto da modello“.
Le start up femminili, rispetto a quelle maschili, investono maggiormente in ricerca e sviluppo. Pertanto, anche se di numero inferiore, sono di qualità e con un approccio green. Dopo aver fatto questa doverosa premessa, scopriamo le imprese italiane tutte al femminile più virtuose.
Mapo Tapo di Alessia Fontanari
Mapo Tapo, la cui fondatrice è la 28enne Alessia Fontanari, organizza viaggi sportivi. L’anno scorso, ad esempio, la start up si è occupata di organizzare un itinerario ad hoc per un gruppo di 40 free climber internazionali. Nel corso della chiusura dettata dall’emergenza sanitaria, sono entrati nella Bocconi for Innovation (acceleratore di start up dell’università), dove hanno ottenuto sostegno finanziario e indicazioni su come strutturarsi al meglio.
“A breve apriremo le prenotazioni per viaggi nell’entroterra siciliano, nel sud della Sardegna, nella Repubblica Ceca e in Grecia. Trattiamo senza intermediari con B&B sul posto. Pensiamo che il turismo sportivo outdoor, a contatto con la natura, possa portare valore sostenibile in aree che non hanno tante opportunità per crescere.
Speriamo a breve di poter offrire mete più lontane e di allargarci allo sci alpinismo e al surf, sempre in chiave internazionale. Puntiamo sempre più in alto! Intanto, grazie a una campagna di crowdfunding, abbiamo pubblicato The Climbing Travel Guide, con le 50 più belle destinazioni fuori dai sentieri battuti“, ha dichiarato Alessia Fontanari a Io Donna.
2Hire di Elisabetta Mari
Elisabetta Mari è una dei soci della piattaforma di mobilità 2Hire. Si tratta di una “tecnologia che abilita i servizi di sharing” direttamente sullo smartphone. L’obiettivo della start up è fornire un’alternativa all’auto privata, in modo da ridurre al minimo, se non eliminare, gli sprechi. Il focus è sull’elettrico – auto, bici, moto e monopattini – e ad oggi conta 13mila veicoli connessi in 9 Paesi.
“Hai dieci auto e vuoi aprire il servizio? Noi facciamo in modo che si possa interagire con il veicolo dallo smartphone, aprirlo e chiuderlo senza chiavi, leggere i parametri utili all’operatore, tutto in modo personalizzato e digitale. La tecnologia va bene anche per il car rental e il delivery“, ha dichiarato Elisabetta Mari a Io Donna.
Fili Pari di Alice Zantedeschi e Francesca Pievani
Fili Pari di Alice Zantedeschi e Francesca Pievani è una start up nata come progetto di laurea al Politecnico di Milano. Dopo la tesi, le due studentesse hanno fatto un po’ di gavetta in azienda e poi si sono messe in proprio.
“Siamo partite dall’idea di collegare il marmo, simbolo dell’Italia nel mondo, al tessile. La polvere è già usata nel settore farmaceutico, cosmetico, agroalimentare. Alla moda ci abbiamo pensato noi: abbiamo realizzato una membrana esterna che contiene un microfilm con polvere di marmo, traspirante, che può essere accoppiato a cotone, seta, cachemire.
Il nostro Marm/More, brevettato, è innovativo, naturale e a filiera corta, perché il materiale arriva dal Nord Est; il marmo rosso da Verona, il Nero Ebano è bergamasco, il Giallo Mori dal Trentino“, hanno dichiarato Alice Zantedeschi e Francesca Pievani a Io Donna.
Fili Pari è nata nel 2020 e, nonostante la pandemia, ha lanciato la nuova collezione Spring/Summer dove al marmo viene accoppiato anche il nylon riciclato. Oltre ai tessuti, le due socie hanno inserito anche la sezione arredo.
Ricehouse di Tiziana Monterisi
Ricehouse è la start up che Tiziana Monterisi ha fondato nel 2016 con il compagno. La loro idea è nata pensando allo scarto del riso, che si attesta intorno al 30%. Utilizzano la lolla, ovvero la pelle del chicco, e la paglia, cioè lo stelo che resta dopo il taglio. Li recuperano dalle risiere e dagli agricoltori, soprattutto quelli delle zone intorno a Biella e Pavia, e poi li inviano ai terzisti del Nord Est. Qui, quello che noi consideriamo lo scarto, si trasforma in mattoni, pittura, isolanti e in tutto ciò che serve a costruire, tranne la struttura che è in legno o cemento armato.
“Sono un’architetta nativa ecologica, perché ho sempre cercato soluzioni sostenibili. (…) Non sono materiali costosi, ma bisogna battere una certa diffidenza culturale. Anche in passato gli scarti del riso venivano utilizzati, molte cascine lombarde sono state fatte così. Noi abbiamo industrializzato e modernizzato il processo e reso i materiali a norma“, ha dichiarato Tiziana Monterisi a Io Donna.
Il 2020 è stato un anno difficile anche per loro, ma con il Superbonus stanziato dallo Stato, le richieste sono notevolmente aumentate.
Bnbworkingspaces di Roberta D’Onofrio
Durante il primo lockdown, Roberta D’Onofrio, madre di tre bambini e proprietaria di tre appartamenti a Roma gestiti tramite Airbnb, si è ritrovata senza la sua fonte di reddito. La pandemia aveva bloccato le prenotazioni e lei ha avuto il coraggio e la grinta per trovare una soluzione al problema. È diventata imprenditrice e ha trasformato le sue case in alloggi per smartworkers in cerca di un luogo sicuro e tranquillo per lavorare, attrezzato e connesso.
È nata così la sua start up Bnbworkingspaces, una piattaforma seguita dall’incubatore I3P del Politecnico di Torino. Ad oggi, il sito di Roberta D’Onofrio vanta oltre 100 Smart Apartments divisi in due categorie, città e luoghi di villeggiatura, in modo da permettere agli utenti di lavorare ovunque, anche fronte mare.
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ultimo aggiornamento: 14 Maggio 2021 8:45