Il Mediterraneo è il mare più colpito dall’arrivo di specie invasive come il Callinectes sapidus: numerosi progetti stanno cercando di arginare l’invasione sul modello Tunisia.

Il governo Meloni ha stanziato 13 milioni di euro come misura di sostegno per rendere più efficace la cattura e lo smaltimento del granchio blu, la specie aliena che ha invaso l’Italia arrivando nel Mediterraneo nelle acque di stiva delle grandi navi cargo statunitensi. Ma per combattere l’improvvisa proliferazione del blue crab, oltre al consumo nei ristoranti, si stanno attivando numerose startup con progetti ambiziosi e innovativi.

Granchio blu, ricette pronte con BluEat

I granchi blu vengono dall’Atlantico e sono crostacei onnivori e voraci: si nutrono di cozze, vongole, ostriche, molluschi e pesci di piccola taglia. Ormai rappresentano una minaccia per la biodiversità, specie nell’Adriatico, e un forte danno economico per l’intero settore ittico. In assenza di predatori naturali, c’è chi punta alla pesca sostenibile per fermare l’invasione.

È il caso di BluEat, un progetto d’impresa della startup romagnola Mariscadoras (il nome spagnolo delle raccoglitrici di vongole e molluschi in Galizia) che punta a trasformare le specie aliene come il granchio blu in una risorsa per le comunità dei pescatori. Guidata da cinque donne, BluEat ha messo in piedi una micro filiera per la pesca dei granchi, trasformandoli da materia prima a prodotto finito.

piante selvatiche costa mediterranea
Il Mediterraneo colpito dall’arrivo dei granchi blu: la soluzione è rivenderli in USA

L’obiettivo di BluEat è dirottare il consumo dalle specie autoctone a quelle alloctone, facendo arrivare negli scaffali dei supermercati e sulle tavole degli italiani sughi pronti, la polpa fatta a mano e a macchina, fresca pastorizzata e congelata. Il passaggio successivo sarà con altre specie aliene come le meduse e il pesce serra.

BluEat rivende i granchi pescati e semilavorati anche al loro luogo d’origine, negli Stati Uniti: la principale destinazione di polpe e sughi (molto richiesti dai consumatori) è Miami. Nella città della Florida, in cui il blu è autoctono, sono appassionati di crostacei e frutti di mare. In Italia BluEat paga i granchi 1,50 euro al chilo alle cooperative di pescatori e li vende sul mercato americano ad un prezzo competitivo.

Il modello è quello già sperimentato in Tunisia, dove le crabe bleu è stato trasformato da orrore in oro, come dicono i locali pescatori. Nel Paese Nordafricano, il business del callinectes sapidus è molto florido: rappresenta il 25% delle esportazioni di pesce e un giro d’affari da 24 milioni di dollari. Il WWF certifica in un report ufficiale che quella del granchio blu è diventata in pochi anni “un’economia solida e una filiera completa che include e dà lavoro a pescatori, donne, trasporto e logistica, aziende di trasformazione e commercianti”.

La ricerca scientifica si muove sul granchio blu

Ma dinanzi alla sfida impossibile di pescare e cucinare tutti i granchi blu che con l’innalzamento delle temperature si riproducono alla velocità della luce, si sta muovendo anche la ricerca scientifica. Il Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova ha avviato un’analisi per cercare di capire qual è la capacità adattiva del crostaceo nelle acque dolci. Non solo: i ricercatori stanno studiando il reinserimento di specie ittiche in via di estinzione per trovare un predatore naturale del granchio blu.

Uno di questi potrebbe essere il beluga che è uno storione carnivoro. Considerato un ottimo indicatore dello stato di salute dell’ambiente grazie alla sua lunga vita, il “canarino di mare” è classificato come a rischio minimo di estinzione dall’IUCN. Un suo reinserimento rappresenterebbe un doppio vantaggio: ridurrebbe nell’immediato la presenza dei granchi blu e aprirebbe la strada all’inserimento di altre specie che se ne potrebbero cibare.

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ultimo aggiornamento: 09-10-2023


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