In occasione della nuova campagna d’informazione degli oncologi, Fondazione AIOM fa il punto sulla malattia, in attesa dell’arrivo della Darolutamide.
Migliorano i numeri delle cure per chi è affetto da tumore alla prostata. AIOM, l’Associazione italiana di oncologia medica, e Fondazione AIOM, impegnata a migliorare l’informazione sulle tematiche oncologiche e a promuovere campagne di prevenzione, fanno sapere che è in costante aumento la sopravvivenza a cinque e a dieci anni dalla diagnosi, anche nei casi più gravi come quelli metastatici ormono-sensibili.
Tumore alla prostata: in Italia il 60% guarisce
In Italia nel 2023 il tumore alla prostata ha colpito 41.100 uomini. Si segnala un incremento del 14% di nuovi casi ogni anno nell’ultimo triennio, ma anche oltre il 60% dei pazienti che riesce a guarire definitivamente, pure quando il carcinoma è in forme gravi. La prevenzione rimane fondamentale.
È per questo motivo che Fondazione AIOM ha lanciato una nuova campagna d’informazione per sensibilizzare gli oncologi ma anche pazienti, badanti, istituzioni e la popolazione sulle nuove disponibilità terapeutiche. Dalla Fondazione arriveranno una newsletter per gli specialisti, una serie di video-interviste ai principali esperti italiani, una collezione di webinar per pazienti e operatori di supporto e un’attività specifica sui socal media.
Il tumore della prostata è quello più diffuso tra la popolazione maschile in Italia. Questa neoplasia costituisce il 20% di tutti i casi di cancro diagnosticati a partire dai 50 anni di età. I maggiori fattori di rischio sono l’età, il fumo, l’alimentazione scorretta e l’obesità, insieme ai fattori ormonali e genetici.
Nelle prime fasi la malattia è asintomatica. Soltanto quando progredisce appaiono sintomi non specifici come la diminuzione della potenza del getto urinario, l’ematuria, la disuria e il dolore perineale. Nelle fasi più avanzate lo scheletro a livello del rachide è spesso la prima sede di comparsa di metastasi.
Se il cancro è confinato alla prostata può essere trattato con la chirurgia o la radioterapia. Quando presenta metastasi nella fase sensibile agli ormoni, subentrano la terapia ormonale o la chemioterapia. Una nuova cura promettente ed efficace è la Darolutamide, un potente inibitore del recettore degli androgeni. Il farmaco ha ottenuto l’approvazione da parte della Commissione europea e diventerà a breve disponibile per medici e pazienti italiani.
“L’introduzione delle terapie mirate ha cambiato la storia della lotta a questo carcinoma – spiega Saverio Cinieri, presidente di Fondazione AIOM –. Fino a un decennio fa le opzioni terapeutiche per certe situazioni cliniche erano molto limitate. Oggi invece sono disponibili nuovi farmaci e una sequenza di più linee di trattamento”.
Darolutamide in arrivo per tumore alla prostata
“Successi su questo tumore sono emersi anche in un setting più precoce di malattia metastatica ormono-sensibile – sottolinea Marcello Tucci, direttore Oncologia del presidio ospedaliero Cardinal Massaia di Asti –. In questo sottogruppo di pazienti solo il 30% sopravvive a cinque anni dalla diagnosi. Nella maggioranza dei casi la patologia si evolve e diventa resistente alla castrazione. In altre parole, la terapia ormonale non provoca sufficienti benefici e si rendono assolutamente necessarie altre e più efficaci cure”.
“Una strategia che ha ulteriormente migliorato il controllo della malattia metastatica ormono-sensibile – aggiunge Tucci – è stata quella di utilizzare un inibitore orale del recettore degli androgeni di nuova generazione, come la Darolutamide, che, per esempio, ha dimostrato di ridurre del 32% il rischio di morte se somministrato insieme a terapia ormonale e chemioterapia”.
“In Italia vivono con una diagnosi oltre 564mila uomini e il loro numero risulta più che raddoppiato rispetto a dieci anni fa – evidenzia Orazio Caffo, direttore dell’Unità operativa di Oncologia medica dell’Ospedale Santa Chiara di Trento –. Alla base di questi dati epidemiologici c’è anche la maggiore probabilità di individuare la malattia attraverso esami come il dosaggio del Psa o l’esame digitorettale. Inoltre, stiamo assistendo ad un invecchiamento generale della popolazione e alla sempre maggiore presenza di fattori di rischio”.
Per gli specialisti è essenziale la sorveglianza attiva, ovvero monitorare attentamente per cogliere qualsiasi tipo di mutazione della malattia e intervenire tempestivamente quando necessario e se ce n’è davvero bisogno. “L’approccio di sorveglianza attiva evita dei trattamenti inutili, con benefici per i pazienti – conclude Caffo –. Oggi ci sono dati evidenti che evidenziano come il ricorso alla sorveglianza attiva sia maggiore laddove sono operative delle équipe multidisciplinari per la presa in carico del paziente. Ciò dimostra l’importanza cruciale della gestione multidisciplinare, ovvero con la presenza di vari specialisti in squadra, anche dei pazienti con questo tipo di neoplasia”.
Riproduzione riservata © 2024 - LEO
ultimo aggiornamento: 1 Marzo 2024 8:44